Il modello bio-psico-sociale

Il modello bio-psico-sociale si contrappone in maniera nativa al modello biomedico.

 

La contrapposizione risiede a livello strutturale profondo e assume carattere inconciliabile: per il modello biomedico ogni “variazione” fisica, cognitiva o comportamentale da un modello atteso (e predetto sulla base di dati normativi, riferiti cioè alla maggioranza della popolazione) è da intendersi come una malattia, e lo scopo dell’approccio è proprio “sanare” questa malattia curando la persona.

 

È facilmente intuibile come buona parte del mondo medico abbia fatto proprio e, anzi, sia stato formato sulla base di questa visione della malattia e, di conseguenza, della Persona. 

Tuttavia, già nel 1947, il WHO (World Health Organization), organismo eminentemente medico aveva già abbandonato questa chiave di analisi muovendosi in ben altre direzioni. 

Per prima cosa si è partiti dall’illuminazione che non tutte le malattie hanno base organica; e chi lavora nel sociosanitario questo lo sa benissimo per esperienza giornaliera. 

Il che ha mandato in crisi il concetto stesso di “malattia” tanto da sostituirlo con quello, rivoluzionario, di adattamento all’ambiente di vita.

 

Così la Persona è calata nel suo contesto costituito da mondo fisico, condizione fisiologica, stato psicologico, relazioni sociali, ruolo, professione, ecc. ecc. 

Non parliamo più di malattia, quindi di malato, ma parliamo di adattamento, quindi di Persona. 

Non parliamo più di malato singolo ma di Persona calata nella sua rete di rapporti e relazioni sociali. Relazioni che hanno una reciprocità e che si influenzano vicendevolmente.

 

Si tratta del nuovo concetto di salute del WHO che fa riferimento alle componenti fisiche (funzioni, organi strutture), mentali (stato intellettivo e psicologico), sociali (vita domestica, lavorativa, economica, familiare, civile) e spirituali (valori), per identificare in esse le variabili collegate alle condizioni soggettive e oggettive di benessere (salute nella sua concezione positiva) e malessere (malattia, problema, disagio ovvero salute nella sua concezione negativa) di cui tenere globalmente conto nell’approccio alla persona

 

Su queste sollecitazioni Engel negli anni Ottanta sviluppa il suo modello di approccio bio-psico-sociale dove ogni condizione di salute o di malattia è la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. 

Il nuovo approccio, il nuovo modello, il nuovo modo di guardare al mondo con occhi diversi manda a gambe all’aria il modello bio-medico quando svela, finalmente, l’impossibilità per il vecchio quadro teorico di comprendere appieno le relazioni causali tra condizioni somatiche e malattia: il modello biomedico ignora i fattori sociali e psicologici che possono influenzare -pesantemente- l’efficacia della risposta del soggetto.

 

Ignora, inoltre, completamente l’importanza della relazione tra medico e paziente nei processi di diagnosi e terapia come fattori che invece influenzano fortemente gli esiti terapeutici. 

La potenza del modello bio-psico-sociale, però, non si esaurisce qui, anzi. Il modello conduce a portare l’attenzione verso alcuni corollari fondamentali nel lavoro con la Persona. 

Per prima cosa viene affermata la natura multifattoriale sia delle cause che agiscono sulla salute e sulla malattia sia degli effetti che la salute e la malattia possono avere.

 

Strettamente connesso a questo viene posto l’accento sulla indistinguibilità della mente e del corpo nella influenza sulle condizioni di salute di un individuo. 

La salute diventa un obiettivo che deve essere conseguito positivamente, mediante una attenzione alle necessità di ordine biologico, psicologico e sociale, e non come uno stato che deve essere solamente salvaguardato. 

Siamo di fronte ad un reale approccio olistico alla Persona. E come tale siamo di fronte alla reale necessità di un lavoro d’equipe multiprofessionale. Ed è questa la strategia suggerita dal WHO nel 1991.

 

Piccolo problema: di questo cambio di paradigma globale se ne sono accorti in molti a livello “dirigenziale” alto, e molto pochi a livello applicativo professionale basso. Cioè? Cioè ogni professionista continua, un po’ per formazione, un po’ per “scarsa cultura” (studiare ex novo è faticoso), un po’ per paura, a utilizzare modelli di approccio alla Persona tipici del proprio profilo professionale.

 

Così coloro che si occupano di “salute fisica” (Medici, Infermieri, ecc.) tendono a rilevare i problemi legati alle funzioni e alle strutture del corpo, i professionisti della “salute mentale” (Psichiatri, Psicologi, ecc.) attribuiscono rilevanza ai problemi delle funzioni intellettive, psicologiche, emozionali, mentre gli operatori della “salute sociale” (Pedagogisti, Assistenti Sociali, Educatori Professionali, ecc.) sono interessati ad affrontare i problemi dell’ambiente di vita del paziente. 

Le équipe multiprofessionali infatti fanno ancora fatica a prender piede: mancano la cultura dell’integrazione e la comunicazione interprofessionale (oltre che il rispetto reciproco!), dal momento che i vari operatori utilizzano linguaggi diversi e metodi e strumenti monoprofessionali per descrivere la salute.

 

Tuttavia poiché tutte le più recenti normative e indirizzi programmatori nazionali e regionali prevedono lo sviluppo di approcci integrati ai pazienti complessi, sia per migliorare la qualità delle cure, sia per perseguire efficienza economica e operativa, appare oramai indispensabile l’adozione dell’approccio bio-psico-sociale e delle attività di equipe. 

La chiave di volta del modello bio-psico-sociale in ottica operativa è fornita dall’assessment dei bisogni multidimensionali, per il quale il WHO ha sviluppato uno strumento validato e trasversale alle varie professioni: l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). 

L’ICF racchiude tutti gli aspetti della salute umana, rapportandoli a 4 componenti: funzioni e strutture corporee, attività e partecipazione, fattori ambientali. 

Un’ultima notazione in chiusura: a livello nazionale sia il Ministero della Sanità sia il Ministero dell’Istruzione hanno adottato il modello biopsicosociale e la classificazione ICF.

 

Forse sarebbe il caso che lo adottassero anche i singoli professionisti…

 

 

Indicazioni bibliografiche essenziali:   

  1. The need for a new medical model. A challenge for biomedicine. Engel G.L., 1977, Science 196:129-136.
  2. ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute. OMS, 2002, Edizioni Erickson, Gardolo (TN).
  3. Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni. Bertalanffy Ludwig von, 2004, Mondadori.
  4. Teoria dei sistemi evolutivi, Ford Donald H.; Lerner Richard, 2002, Cortina Raffaello.
  5. Psicologia della salute. Contesti di applicazione dell’approccio biopsicosociale. Mauri A.; Tinti C., 2006, UTET.