Dove va la Pedagogia italiana?

È da diverso tempo che sulla spinta della nuova proposta di legge sul riconoscimento della figura del Pedagogista e dell’Educatore Professionale sto assistendo, da parte di alcuni colleghi, a delle prese di posizione improntate a una rigidità e a un anacronismo degne del più buio medioevo. 

Mi spiego meglio. O almeno ci provo. Pare di capire che per strutturare una solida identità professionale ed epistemologica della disciplina pedagogica siano necessari tre passi. 

Il primo è decretare e affermare a più riprese che la Pedagogia è LA via per eccellenza. Un po’ la one best way di tayloriana memoria. L’unico approccio valido alla Persona. L’unico modo di rispondere a tutti i Suoi bisogni. L’unica ottica di analisi della realtà. 

Il secondo è blindare la Pedagogia da ogni influenza con altre discipline e professionalità. Erigere muri. Cercare nuovi terreni di espansione per la Pedagogia e dall’altro lato indicare chiaramente i limiti delle altre professionalità. 

Il terzo è identificare il nemico esterno. Il terrorista conquistatore. Lo stragista abusivo di stampo mafioso. E l’identificazione ricade sull’approccio medicalizzante di cui sono paladini indiscutibili gli psicologi e la Psicologia. 

Ora, se non si hanno delle fette di salame davanti agli occhi grosse come frigoriferi, se la propria preparazione teorica non si limita a Pestalozzi, se la propria esperienza lavorativa non inizia e si conclude all’interno di un ufficio o di un’unica struttura, si può facilmente ravvisare in tutti e tre i punti delle profonde crepe strutturali. 

Spendo due parole sulla One Best Way. La Pedagogia come unica via per riconquistare il primato della Persona. Per approcciarsi all’intima realtà umana riconoscendogli dignità e importanza. 

È vero: la Pedagogia lo fa in maniera nativa. Ma è la sola disciplina a farlo? Perché non diventare tutti Architetti? Lo sappiamo benissimo che uno spazio di vita ben strutturato è in grado di trasformare l’inferno cittadino in un paradiso tropicale. E allora perché non potrebbe essere l’Architettura, la One Best Way? 

O l’ingegneria biomedica? Avete mai provato a pensare quanto un Ingegnere Biomedico possa migliorare la qualità di vita di una persona che progetta e costruisce – ad esempio – protesi per gli arti inferiori per persone che hanno subito un amputazione? È la differenza che intercorre tra il vedere il mondo che ti passa intorno piantato su una sedia a rotelle e passare intorno al mondo con le tue nuove gambe. 

Allora la via è l’Ingegneria Biomedica??? No! La risposta è no! Come non lo è l’Architettura. Come non lo è la Pedagogia!!! Nessuna disciplina è in grado, da sola, di rispondere a tutti i bisogni e le necessità dell’Uomo. E tutte le discipline hanno al centro l’Uomo. Tutte. Proprio tutte. Anche le più astratte. Anche l’equazione di Schrödinger, caposaldo della meccanica quantistica del Novecento, è finalizzata al miglioramento della comprensione che abbiamo del mondo e quindi al benessere dell’Uomo stesso. 

Passo al secondo punto. La pretesa di indipendenza della Pedagogia da altre discipline. 

Solo un idiota cieco potrebbe sostenere una tesi simile. A parte che tutti i corsi di laurea in Scienze dell’Educazione sono un mix di psicologia, sociologia, filosofia, lettere, antropologia, lingue… 

Ma guardando alla fondazione epistemologica della disciplina, osservando l’approccio e le Sue tecniche, ma qualcuno davvero ha il coraggio di sostenere che la Pedagogia possa essere totalmente autonoma da ogni contatto con altre discipline? 

Che formazione avrebbero i Pedagogisti moderni senza gli studi di Piaget? E che formazione avrebbe avuto Piaget senza gli anni passati a lavorare sulla standardizzazione del test di Binet? E senza la Montessori? Prima donna in Italia a laurearsi in medicina. 

Come vedremmo lo sviluppo infantile senza la teoria dell’attaccamento di Bowlby? Cosa vedremmo gli utenti senza gli studi di antropologia di Malinowski che ci hanno regalato i crismi per l’osservazione partecipante? 

Come ci approcceremo alla Persona senza la corrente umanistica di Rogers? 

E si può tranquillamente andare avanti così per lunghi esempi. 

Il terzo punto è più incentrato sul versante lavorativo. O almeno così lo impostano i sostenitori della corrente puristica della Pedagogia. L’approccio medicalizzante sta prendendo piede in ogni ambito della vita sociale e scientifica nazionale e internazionale. E gli Psicologi cavalcano l’onda distribuendo diagnosi fondate su canoni medicalizzanti e basi teoriche labili e massificanti erodendo, al contempo, gli ambiti di esclusiva pertinenza della Pedagogia. 

Ecco. Un ottimo esempio di ignoranza, chiusura mentale e visione mistificante della realtà. 

Parto dalla disanima degli abiti lavorativi: se ho le competenze e posso eseguire un lavoro in “scienze e coscienza”, cioè rispettando l’etica e la deontologia, io il lavoro lo faccio. 

E allora, forse, non sono gli Psicologi a invadere i campi. Sono i Pedagogisti (o forse solo alcuni), che sono così insicuri nella loro veste professionale che si fanno fregare il lavoro. Forse le nostre attuali ricerche in ambito pedagogico sono vecchie. Forse risalgono veramente a Montessori. Fosse in vita la Montessori stessa avrebbe strutturato altre teorie e altri metodi in un mondo che va verso la versione 3.0 

Forse. Però, nel frattempo, le altre professioni sono progredite. E la Pedagogia ha perso il passo. 

Non ci va bene l’approccio medicalizzante che vede in ogni bambino un DSA? Non ci va bene l’approccio medicalizzante che vede in ogni bambino un ADHD? Ottimo!! Concordo!!! E allora sotto con teorie alternative e approcci scientifici alternativi. 

Scientifici però!!! Che possano essere sottoposti al vaglio della comunità scientifica internazionale e che non dipendano dalle improvvisazioni teatrali del singolo. 

Si, perché per essere formati in Scienze dell’Educazione ci dimentichiamo troppo spesso cosa è il metodo scientifico. Che non è la massificazione, la rigidità, la replicazione dei dati in maniera sterile, la riduzione dell’Uomo a un numero. 

No. Quella è la visione degli ignoranti. La scienza è proporre teorie che devono essere confutate dalle seguenti. I DSA non esistono. Bene. E allora i bambini che hanno problemi nell’area dell’apprendimento cosa hanno? È il Sistema scuola? Può essere. E allora faccio uno studio sperimentale. 

Prendo tre classi. In una adotto l’approccio scientifico o, se vogliamo, psicologico attuale. In una non effettuo alcun intervento. Nell’altra sperimento il mio nuovo approccio, faccio la ricerca azione tanto cara a Lewin. 

Poi traggo le conclusioni. Pubblico i dati. Li sottopongo al vaglio della comunità scientifica. Li faccio replicare in maniera autonoma da altri. E se il mio approccio funziona ho lavorato in maniera scientifica. 

È il metodo di Piaget. È il metodo della Montessori. È il metodo di Galileo. 

Ma tutto questo in Pedagogia si fa? 

Facile dire: i paradigmi sono sbagliati, l’approccio è sbagliato, abbiamo ragione Noi e hanno torto loro. 

Dimostriamolo! 

Ma nel far questo facciamo in maniera che le il progresso scientifico sia serio. Basta con questi guru improvvisati che criticano nichilisticamente a trecentosessanta gradi senza proporre una riga di ricerca pedagogica. 

E basta anche agli slogan facili dietro cui non c’è nulla o ben poco. 

Penso a una Pedagogia fatta da professionisti seri. Non da buffoni che oscillano tra il delirio di onnipotenza e il fenomeno da baraccone. Una Pedagogia dove chi parla di Pedagogia venga da un percorso formativo coerente e non si sia inventato Pedagogista senza aver mai conseguito la laurea. 

Penso a Pedagogisti che non abbiano paura di lavorare in equipe multidisciplinari perché sanno quanto valgono e cosa possono dare al team. 

Spero in una Pedagogia moderna, fortemente critica, che adotti un approccio illuminato biopsicosiale, che sappia fare ricerca e prevenzione primaria, che sappia strutturare protocolli di intervento, che sappia stare al tavolo con le altre professioni limitrofe senza deprimersi nella sindrome da Calimero. 

Vedo giornalmente tanti colleghi lavorare su fronti differenti con risultati garantiti oramai da decenni di buone prassi. Ci sono. Non temono il confronto. 

Parlo con tirocinanti svegli, il futuro della professione, che davanti alle posizioni che ho descritto sgranano gli occhi e inorridiscono. 

Vogliamo riprenderci la Pedagogia? E allora stiamo al tavolo della ricerca scientifica, dove siedono tutte le altre professione, e confrontiamoci sul terreno comune del progresso scientifico proponendo i nostri studi, le nostre teorie, le nostre critiche, i nostro progressi. 

Ma facciamolo senza gli strascichi di paranoia tipici di chi teme il confronto per paura di uscirne sconfitto. 

Giusto per citare Qualcuno “chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

Risorse – Sull’Ordine degli Educatori Professionali e Pedagogisti (secondo tempo) 

Il mio articolo di qualche giorno fa, dove esprimevo alcune considerazioni personali sulla necessità stringente, a mio parere, dell’istituzione di un Ordine degli Educatori Professionali e Pedagogisti con relativo Albo e ammissione tramite Esame di Stato ha destato più interesse di quanto potessi immaginare. 

Ho ricevuto molti commenti di supporto da parte di molti colleghi e, ancor più interessante se mi è concesso dirlo, molte richieste di delucidazioni e critiche circa la mia posizione. 

La prima, che catalogherei a livello macro, è la seguente: ma come, in Europa vogliono chiudere gli albi preesistenti, e tu salti fuori con questa proposta? 

La “chiusura degli albi” a livello europeo, a parere personale, la vedo molto ardua. Solo per avere un quadro dello stato attuale in Italia, le professioni ordinistiche sono le seguenti: in Italia sono presenti 28 ordini e collegi professionali, che contano complessivamente oltre 2 milioni e 300 mila iscritti. Tuttavia, se si considerano anche i dipendenti degli studi, l’area delle professioni ordinistiche vede coinvolti complessivamente circa 6 milioni e mezzo di lavoratori. 

Ecco l’elenco degli ordini professionali in Italia e il numero degli iscritti nel biennio 2009-2010: 

– Agenti di cambio (28) – Agronomi e Forestali (20.993) – Agrotecnici (14.712) – Architetti (142.035) – Assistenti Sociali (37.460) – Attuari (874) – Avvocati (198.041) – Biologi (30.671) – Chimici (9.978) – Commercialisti ed esperti contabili (112.414) – Consulenti del Lavoro (27.572) – Farmacisti (79.069) – Geologi (15.369) – Geometri (111.145) – Giornalisti (106.990) – Infermieri (379.213) – Ingegneri (213.399) – Medici e Odontoiatri (397.456) – Notai (4.545) – Ostetriche (16.000) – Periti Agrari (17.671) – Periti industriali (45.427) – Psicologi (73.535) – Spedizionieri Doganali (2.250) – Tecnici radiologi (23.492) – Veterinari (27.891)

 

I vari aderenti agli Ordini muovono annualmente 200 miliardi di euro solo in Italia, si tratta di un peso economico pari a circa il 15 per cento del P.I.L., se rapportiamo i dati con il territorio europeo ci possiamo facilmente rendere conto di quale giro d’affari stiamo parlando. Pensate che le professioni ordinistiche subiscano passivamente la proposta di dissoluzione dei loro Ordini? 

La seconda domanda (critica) più o meno affermava: tutte le figure universitarie che attendono con ansia di raggiungere questo traguardo godono già di una regolamentazione chiara e definita, non hanno bisogno di ottenere un’ulteriore “sicurezza”. 

Riprendo a questo proposito il testo di Wikipedia (lemma: Professioni non regolamentate): “Sono tutte quelle professioni intellettuali il cui esercizio non è vincolato al possesso né di alcun requisito né di specifica formazione, se non quelli stabiliti dal Codice civile italiano e/o da eventuali norme ulteriori. Pertanto, in questi casi è la formazione avanzata di tipo volontaria o imposta dal mercato, l’addestramento sul campo, le qualifiche mediante l’esperienza, le referenze, che “abilitano” il professionista. Anche perché ormai, specie nel mondo della consulenza aziendale o dell’information technology oppure nel vasto mondo delle nuove professioni rivolte alla cura e al tempo libero delle persone (si pensi, ad esempio, al consulente enogastronomico o alla wedding planner) più che titoli formali serve specializzazione e preparazione pratica. 

Il 19 dicembre 2012 la camera dei deputati ha approvato il disegno di legge n. 3270 (“Disposizioni in materia di professioni non organizzate”). 

Figlia di questo fermento liberalizzante è stata la legge 14 gennaio 2013 n. 4 (“Disposizioni in materia di professioni non organizzate”). 

“L’introduzione di questa legge e il relativo riconoscimento giuridico delle associazioni professionali permetterà nel tempo, per i liberi professionisti senza albo, di affiancare alla loro qualifica basata sul curriculum anche le attestazioni o le certificazioni di competenza rilasciate dalle dette associazioni, come avviene da molto tempo all’estero.” 

Fino a settembre 2013 il Ministero della Giustizia ha riconosciuto le seguenti associazioni di professioni non regolamentate: [… taglio per comodità e lascio quelle più inerenti il discorso] 

  A.G.P. Associazione Grafologi Professionisti 4/10/2010 

  A.G.I. Associazione Grafologica Italiana 4/10/2010 

  A.N.P.E. Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani 8/2/2013 

  A.I.C.C. e F. Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari 5/9/2013 

  A.S.P.I.F. Associazione Psicomotricisti Funzionali 5/9/2013 

  PHRONESIS Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica 5/9/2013

 

Ora, vediamo un pochino a mio parere, cosa ha prodotto questa legge. In teoria (riprendo da http://www.impresalavoro.eu/consulenza/impresa/associazioni-professionali-e-professioni-non-regolame...) la principale novità introdotta dalla legge riguarda la possibilità le costituire associazioni professionali al fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto delle regole deontologiche, favorendo al contempo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. 

Tali associazioni hanno natura privatistica, sono fondate su base volontaria e non hanno alcun vincolo di rappresentanza esclusiva. Tra le loro attività figura la promozione della formazione permanente dei propri iscritti, l’adozione di un codice di condotta, la vigilanza sulla condotta professionale degli associati e la definizione delle sanzioni disciplinari da irrogare agli associati in caso di violazioni del codice stesso. 

Al contempo, inoltre, si occuperanno di promuovere forme di garanzia a tutela dell’utente, tra cui l’attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino/consumatore. Sempre al fine di tutelare quest’ultimo, inoltre, le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti delle attestazioni e/o promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità a norme tecniche UNI. 

Questa paradisiaca realtà da Mulino Bianco si è verificata? No! La realtà è che imprenditori privi di scrupoli o con scrupoli molto limitati hanno creato associazioni e scuolette varie per poter mungere gli Educatori Professionali e i Pedagogisti attirandoli con lo specchietto per le allodole rappresentato dall’iscrizione al proprio Albo privato – valore legale: zero – e al contempo gli hanno propinato master e corsi del costo di migliaia di euro. 

Inoltre, la parcellizzazione delle linee di intervento nulla ha prodotto per unificare a livello nazionale le figure degli Educatori Professionali e dei Pedagogisti. Ricordo che in Italia abbiamo due Educatori Professionali, uno formato a Scienze dell’Educazione e uno a Medicina. Follia! 

Chi c’è poi dietro queste associazioni o scuole? Chi ne determina la “bontà” della condotta? Chi ne controlla l’operato? 

Inoltre, come possiamo ben notare, la possibilità associativa fornita dalla legge 4/2013 riconosce legalmente la possibilità praticamente a chiunque di poter esercitare la professione di Pedagogista o Educatore Professionale semplicemente modificando la dicitura professionale. Ci troviamo così con una Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani affiancata da un’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari e da una sedicente Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica. 

Senza contare che le varie sigle riferite al mondo pedagogico, leggasi ANPEC, APEI, FIPED, ANPE, PEDIAS, AIPED, EXDUCERE, SINPE, UNPE (forse ho saltato qualche sigla, non me ne vogliate) invece che convergere su un’unica identità unificante non fanno altro che farsi la guerra tra lor nel tentativo, vano ma economicamente proficuo, di soverchiare la sigla avversaria. 

Perché, quindi, un Ordine? Perché serve prima di tutto unitarietà. Serve che sia chiaro, a professionisti e utenza, chi è e cosa fa un Educatore Professionale e/o un Pedagogista. 

Servono limiti chiari e ben delineati entro cui espletare tutta la funzione di aiuto alla Persona tipica dell’epistemologia pedagogica. 

Servono limiti per non invadere campi altrui, ma servono limiti anche per evitare le invasioni da parti altrui. 

E solo una struttura super partes, può garantire la tutela di Educatori Professionali e Pedagogisti ma anche, al contempo, vagliare il loro grado di preparazione e di validità tecnica e deontologica. 

Perché, non dimentichiamolo, come Educatori Professionali e Pedagogisti siamo privi di un codice deontologico, siamo privi di linee guida ufficiali, siamo privi di un profilo fiscale condiviso. 

Questo significa muoversi, rischiosamente, nel terreno dell’incertezza, affiancati dal terrore di sconfinare in campi non propri, costretti (le discussioni sui Social Network possono esserne un buon esempio) a dibattere ancora se sia lecito o meno fare diagnosi, se un Educatore Professionale possa insegnare, se sia possibile o meno utilizzare strumento testistici, se 7 euro l’ora siano una tariffa idonea, se fare il baby sitter sia una forma di Pedagogia. 

La legge 4 del 2013 non ha fatto altro che sancire il rafforzamento della libera concorrenza tra professionisti ma, a mio parere, a tutto vantaggio di chi un profilo professionale unitario, coerente e forte già lo possedeva. 

Noi stiamo dibattendo la deriva lobbistica di alcuni Ordini professionale non rendendoci conto che, come Educatori Professionali e Pedagogisti, quello dovrebbe/potrebbe essere un problema secondario: noi a quel punto non ci simo nemmeno lontanamente avvicinati! Noi siamo lontani anni luce da problematiche simili. Nella scala evolutiva professionale siamo, se mi passate la metafora, più vicini alla scimmia che non all’Homo Sapiens: le professioni “Sapiens”, giustamente, discutono sulla validità o meno dei loro Ordini, forti del fatto che lo status quo raggiunto consenta loro una solidità professionale forte. Noi, scimmie antropomorfe, ci accapigliamo a discutere dei Loro problemi quando noi stiamo ancora arrancando a quattro zampe. 

E mentre arranchiamo faticosamente ci lamentiamo delle tariffe ridicole, dello scarso riconoscimento sociale, della tutela legale nulla, del fatto che tutti possano fare l’Educatore o il Pedagogista ma l’Educatore o il Pedagogista non possano (giustamente!) fare altro. 

E intanto le sigle aumentano, le università continuano a spacciare corsi farlocchi inventando unitarietà tra il mondo della formazione e il mondo reale del lavoro, medicina un giorno si muoverà davvero e fagociterà Scienze dell’Educazione e noi, scimmie antropomorfe, seguiremo l’ennesimo Master da 5000 euro per diventare un surrogato edulcorato di un assistente di qualche altra figura professionale.

 

Ps: invito tutti a vedere come un Ordine Professionale può “rimettere a piombo” chiunque provi a muovere una rimostranza (non entro nel merito della validità della stessa) nei suoi confronti partendo da una posizione di potere inferiore: http://www.florindabarbuto.it/news/abuso-di-professione-educativa-i-pedagogisti-scrivono-agli-psicol...