8 teorie per un Pedagogista (parte seconda)

Propongo un’altra serie di basi teoriche a mio parere indispensabili per poter operare con cognizione di causa in aiuto alla Persona.


Uno: teoria delle zone di sviluppo, Vygotskij (1934)

La distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l’aiuto di altre persone, si definisce Zona di Sviluppo Prossimale. È la zona dove il Pedagogista gioca il suo ruolo. È il “qui ed ora” che affonda le radici nel passato e volge lo sguardo al futuro. È il lavorare oggi con la Persona, memori della Sua storia personale, verso il domani. 

A cosa serve nella pratica professionale: a orientare tutto l’intervento pedagogico verso il miglior adattamento possibile della Persona con il suo ambiente di vita o, in altri termini, a dirigere il dispiegamento di ogni possibile potenzialità della Persona. È la bussola! 

Testo di riferimento: Pensiero e linguaggio, Lev Semënovič Vygotskij, Giunti


Due: teoria pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick (1967) 

“Due tesi sono centrali in questo libro: 1) il comportamento patologico (nevrosi, psicosi, e in genere le psicopatologie) non esiste nell’individuo isolato ma è soltanto un tipo di interazione patologica tra individui; 2) è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle ‘patologie’ della comunicazione e dimostrare che sono esse a produrre le interazioni patologiche”. 

A cosa serve nella pratica professionale: il colloquio è il più potente strumento metodologico nelle mani di un Pedagogista. Saperlo usare bene non è solo importante, è vitale. “Tentare una soluzione” in realtà non fanno altro che mantenere il problema della Persona o crearne uno ex novo. Vuoi fare il Pedagogista? Studia la comunicazione umana. 

Testo di riferimento: Pragmatica della comunicazione umana. Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Astrolabio


Tre: teoria life-span dell’arco di vita, Baltes (1991, in particolare il modello SOC) 

Il Pedagogista lavora con i bambini. Vero? Si, può essere. Ma non solo. Allora ha un “nome sbagliato”. Si, questo è vero. Ma cosa diverge tra un bambino, un adulto e un anziano? Cosa cambia qualitativamente? 

Baltes afferma che adottando una prospettiva positiva sull’invecchiamento questo può essere padroneggiato dall’individuo e può conferire all’anziano nuove capacità ed abilità incrementando notevolmente la qualità della sua vita. Tale modello è chiamato appunto soc: selezione, ottimizzazione, compensazione. 

A cosa serve nella pratica professionale: a scrollarsi di dosso la leggenda metropolitana che il Pedagogista lavora fino ai 16 anni, a capire lo sviluppo adulto e anziano, a mobilitare le risorse in funzione proattiva nell’adulto o compensativa/riparativa nell’anziano; a ricordarsi che l’educazione procede lungo tutto il corso della vita e ogni individuo è sempre educabile. 

Testo di riferimento: Educazione permanente nella prospettiva del lifelong e lifewide learning, Gabriella Aleandri, Armando Editore


Quattro: teoria dell’interazione simbolica, Goffman (1997) 

La vita è una serie finita di “routines” quotidiane, incontri casuali, interazioni episodiche, frammenti di conversazione dove ogni persona recita un ruolo di un copione che si scrive da se nel contatto con gli altri. Il palcoscenico può fare paura o esaltare, stimolare o bloccare, rendere felici o portare alla morte. 

A cosa serve nella pratica professionale: “Io non sono cattiva, è che mi disegnano così” dice Jessica Rabbit in “Chi ha incastrato Roger Rabbit”. E allora basta cambiare personaggi e il copione varia, o cambiare il palcoscenico, o cambiare copione. E il bullo non è più bullo ma vittima, lo schizofrenico non è più matto ma artista, l’anziano non più vecchio ma saggio, il malato terminale non più peso ma risorsa… 

Testo di riferimento: La vita quotidiana come rappresentazione, Goffman traduzione di Margherita Ciacci, Il Mulino


Cinque: Teoria della Mente – ToM, (1996) 

La Teoria della Mente si riferisce alla capacità del bambino di attribuire stati mentali a sé e agli altri e di prevedere, sulla base di tali inferenze, il proprio ed altrui comportamento. Lo sviluppo della Teoria della Mente è legato a quello di due diverse capacità: Role – taking e Perspective – taking. Precisi precursori ci indicano se è in corso uno sviluppo normale della ToM o se vi siano delle variazioni dal percorso normale. 

A cosa serve nella pratica professionale: a dare una risposta alle sindromi pervasive dello sviluppo e a potervi lavorare con interventi mirati ed efficaci, rispettosi dei bisogni di sviluppo e dalla Persona. E a buttare nel lavandino idee del tipo “l’autismo è colpa della madre frigorifero”. 

Testo di riferimento: L’autismo. Spiegazione di un enigma, Frith, Editori Laterza


Sei: teoria dei neuroni specchio, Rizzolatti (revisione del 2006) 

Negli anni ‘80 un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma condotti da Giacomo Rizzolatti scoprì i neuroni mirror. Un ricercatore aveva installato dei microelettrodi sensori nel cervello di una scimmia (nella parte più superficiale, la “corteccia”) raggiungendo dei neuroni che si attivavano quando la scimmia prendeva un’arachide da una ciotola. Ad un certo punto, casualmente, lui stesso prese un’arachide dalla ciotola sotto gli occhi della scimmia e, del tutto inaspettatamente, i rivelatori di attività crepitarono: i neuroni della scimmia si erano attivati. Quei medesimi neuroni, che si attivavano quando la scimmia afferrava un’arachide, lo facevano anche quando ad afferrare l’arachide era il ricercatore e la scimmia non si muoveva. 

Perché? Perché la scimmia vedeva il ricercatore mangiare e i suoi neuroni sensoriali si “accendevano” al posto di quelli motori. Ma non era un errore! Era la similitudine tu-uomo-sei-simile-a-me-scimmia che creava il paradosso. 

A cosa serve nella pratica professionale: a spiegare il cavallo di battaglia di ogni Pedagogista: l’empatia! Ecco cosa genera le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività. Io sono simile a te e se tu sei felice lo sono anche io, se tu soffri soffro anche io, se tu sei umano lo sono anche io, se tu sei folle lo sono anche io… 

Testo di riferimento: I neuroni specchio, Marco Iacoboni, Bollati Boringhieri


Sette: approccio fenomenologico alla psicopatologia, Basaglia (1978) 

“[…] Il nodo centrale diviene allora l’analisi del rapporto tra salute e malattia. La netta separazione tra l’una e l’altra è individuata per quel che è: il diretto prodotto dell’ideologia medica. 

«Nel momento in cui la salute viene assunta come valore assoluto, la malattia si trova a giocare un ruolo di accidente che viene ad interferire nel normale svolgersi della vita come se la norma non fosse racchiusa tra la vita e la morte. L’ideologia medica, per il suo rifarsi ad un valore astratto e ipotetico qual è la salute come unico valore positivo, agisce da copertura a quella che è l’esperienza fondamentale dell’uomo – il riconoscimento della morte come parte della vita – assumendola su di sé come oggetto di una esclusiva competenza. Essa cioè distrugge il malato nel momento in cui lo guarisce defraudandolo del suo rapporto con la propria malattia (quindi col proprio corpo) che viene vissuta come passività e dipendenza. 

In questo senso il medico diventa responsabile all’insorgere di una relazione reificata tra l’uomo e la propria esperienza inducendo il malato a vivere la malattia come puro accidente oggettivabile della scienza e non come esperienza personale.» 

Nello stato relativamente arretrato della nostra società della diversità, dove il positivo si afferma e si conferma sull’esistenza e l’esasperazione degli opposti (salute e malattia, norma e devianza, ragione e follia), fonda il valore a la valorizzazione dei primi attraverso la svalorizzazione del negativo.” 

A cosa serve nella pratica professionale: il tanto decantato approccio sociale contrapposto all’ottica medicalizzante nasce qui. È la restituzione all’Uomo della sua dignità. Sempre. Anche se compie atti inusuali, anche se è “matto”. Serve a lavorare con la Persona e non con la malattia. Serve a pensarsi in maniera distaccata perché “tu sei come me e non è mica detto che io sempre il sano e tu sempre il malato”. 

Testo di riferimento: L’utopia della realtà, Franco Basaglia, Piccola Biblioteca Einaudi


Otto: approccio umanistico, Rogers (1983) 

Vuoi fare il Pedagogista? Allora nel rapportati con la Persona devi essere Genuino, Empatico e agire un’Accettazione positiva incondizionata. Devi esserlo oppure risulterai falso, devi esserlo oppure starai addestrando e non educando, devi esserlo oppure starai manipolando. 

E dovrai esserlo quando chi hai davanti ti fa paura, ti farà schifo o ribrezzo, sarà superiore a te, crederà in ciò in cui tu non credi, non capirà ciò che tu pensi di aver capito, avrà commesso degli atti deplorevoli. 

A cosa serve nella pratica professionale: a fare il Pedagogista!!! 

Testo di riferimento: Un modo di essere, Carl Rogers, Martinelli